sabato 5 aprile 2014

Scultura. Estetica ed etica in Giovanni De Angelis - Officina della Memoria e dell’Immagine di Fiuggi.


http://www.giovannideangelis.com/
Estetica ed etica in Giovanni De Angelis - Officina della Memoria e dell’Immagine di Fiuggi.

Inaugurazione 5 aprile 2014, ore 17,30. Aperta tutti i giorni, esclusa la domenica mattina. Fino al 3 maggio 2014.
La mostra è curata da Giovanni Stella.
Il testo di presentazione è qui di seguito riportato:
Uno sguardo attento e vigile alle opere che compongono questa esposizione e la memoria di altre che appartengono a epoche più remote consentono di definire una vicenda artistica che da molto tempo è giunta a maturazione con esiti di rara maestria e bellezza, a sostegno di una idea e di una scelta di campo che non accusano tentennamenti, e anzi sempre più s’inverano
nella pratica quotidiana del fare arte, con ostinata e religiosa perseveranza .
Questa condotta monacale di rigorosa coerenza è supportata da una vincolante consuetudine di assidua meditazione sulle cose dell’arte e da una finalità spirituale maturata con sofferenza, ben radicata, totalitaria, posta a fondamento etico del quotidiano esercizio della scultura, intesa come strumento di esplorazione del pianeta uomo, dei suoi fallimenti, della sua discesa agli inferi, dell’irresistibile tentazione di spingersi oltre finis terrae, alla ricerca di nuovi approdi nel mare aperto dell’esistenza.
Con queste spinte interiori l’opera di De Angelis diventa canto della finitezza dell’uomo e al tempo stesso esaltazione della tensione verso l’alto, atto poetico indirizzato a dar carattere di nobiltà allo sforzo eroico di conoscenza di sé e del mondo, atto di avvicinamento al mistero della vita e di nostalgia di un indefinito eden, della bellezza e della forma primigenia delle cose, l’una e l’altra portatrici di stupore e incantamento, che il nero sasso vulcanico o il marmo, or bianco, or rosso, or grigio, caparbiamente aggredito e poi levigato e accarezzato, deve rivelare: dono ai viventi, premio alla fatica e alla sofferenza della germinazione creativa. Deve. Un imperativo estetico ed etico, in De Angelis, che non ammette intrusioni di codificati schemi asserviti ad una contemporaneità spesso indecifrabile, bensì soltanto richiami e suggestioni di una linea italiana ed europea, che non ha paura della narrazione, senza peraltro cadere nelle secche della narrazione tout court.
Il discorso artistico di De Angelis ripudia, sulla scia di protagonisti della scultura di figura del novecento, l’arbitrio sperimentale che diventa gioco solitario privo di riferimenti che non siano altri giochi, anch’essi privi di riferimenti oggettivi, senza destinazione sociale: gorgheggi che impudicamente pretendono un pubblico plaudente, non arie d’opera. Questo orientamento porta ad un’arte che, senza infingimenti, tende ad una perfezione formale chiara, con ascendenze precise, riconoscibili: un’arte pensata come atto creativo assoluto che non nega la sua storia, pur vivendo un presente aperto al futuro. Arte come manifestazione di una energia che si alimenta delle naturali inclinazioni dell’artista e di accorti rimandi all’antichità e alla più vicina modernità.

Da qui nasce deciso, rapido ed elegante un segno che è espressione conseguente di una controllata costruzione della forma, che risponde, per necessità interiore, ad una compiuta e colta idea figurale carica di storia e di rapporti ineludibili, che l’artista trasferisce, arricchita dei suoi umori mediterranei, nel colore, nel legno, nella resistente materia offerta dalle stratificazioni di madre natura o dal magma solidificato di un vulcano, vissuto come corpulento ostacolo, provvidenziale provocazione, spunto ispiratore, ma anche come pericolo di scacco matto all’ardimento creativo, o rovinosa caduta dal volo alto nel cielo.
In Giovanni De Angelis forte è la percezione del rischio perché forte e lucida è la consapevolezza della sfida che lo getta nel bel mezzo di celebrati numi della scultura , per dire i più vicini a noi: Boccioni, Wildt, Martini, Marini, Moore, Perez, Manzù, Vangi, artisti capaci di virtuosismi mirabolanti, ma tanto avveduti da tenere a freno il peccato di superbia che genera l’eccesso o tanto attenti da scansare l’esatto contrario, che è dato dalla resa approssimativa della visione.
Il nostro scultore persegue l’idea guida di dover dare la massima risoluzione possibile alle immagini del suo mondo poetico, che per avere consistenza e dignità filosofica ed estetica non possono essere specchio fedele della realtà fenomenica, ma evidenza di quella realtà altra, che ha il suo riferimento visivo e ideologico in quel repertorio umanistico di pensieri e costruzioni formali connotative della civiltà occidentale, di ineguagliabile bellezza e rigore.
Di questa inquietudine è prova l’insistito tema della caduta di Icaro a partire dal 1983 ,che dà conto di drammatiche preoccupazioni esistenziali, che lo portano a rendere con sublime artificio la discordanza tra sogno e realtà e l’eterno conflitto tra pulsioni vitali( bios )e pulsioni di morte (thànatos): un conflitto in cui l’azzardo dell’artista che osa è compensato dal trionfo della forma e della bellezza, vissute come epifania del sacro. 
Sono, forma e bellezza, due elementi interdipendenti e imprescindibili per De Angelis, sulla scia dei molti picchi della storia dell’arte europea, dai bronzi di Riace in poi, passando per il giovine auriga di Mozia, la scultura pisana e fiorentina medievale e rinascimentale, l’estasi berniniana, le incantate figure canoviane, fino al miglior novecento che da quelle prodezze formali discende. Ma, una forte fascinazione arriva anche dalla statuaria egizia ed etrusca per la loro plastica immobilità sentita come rappresentazione di uno sguardo interiore, che valica il limite temporale.

Il tempo e lo spazio: ecco un rovello del nostro scultore. Vincere il tempo, nello spazio che ci è dato, sottrarre al fluire delle ore le cose, gli intrecci di vita e i volti che accompagnano il nostro “viver terreno”, resi nella loro totemica essenzialità da Isola di Pasqua. 
Questi perseguimenti di rara grazia esigono il pieno possesso dei mezzi espressivi, cioè il mestiere, attitudine negletta oggi, svilita e sacrificata, quando non schernita, sull’altare del puro concetto, o del gioco, o di un fare tecnologico a imitazione del processo produttivo. Possesso consapevole che fa dire a de Angelis: ”E’ già il suono dello scalpello che batte sul marmo, ancor prima dell’occhio, ad avvertirmi che sto per giungere alla forma pulita e secca”. O ancora; “la ricerca di una forma non lasci trapelare il travaglio della sua esecuzione”.
Si osservi come nelle sue sculture la forza di gravità è vinta. Il bianco marmo di Carrara, o d’altre regioni dell’emisfero, perde il suo peso per diventare sostanza informata a leggerezza, nuvola vagante, grazie al dinamismo della linea che senza posa volteggia, creando anse, cavità, dove l’ombra s’annida a sostegno delle superfici in luce, o sforamenti, da cui passano porzioni di cielo, volumi in tensione scolpiti da un vento che prende avvio dalle regioni del sacro e, passando attraverso testa, cuore e mani dell’artista, scompiglia la materia, che vibra e tintinna come cristallo di Boemia. Definito è il suo modo di accostarsi alla materia in altra sua dichiarazione:”Inseguo il respiro libero e sciolto dei “vuoti” e dei “pieni”, il loro rincorrersi continuo e fluido ed il loro rapporto: è in questo rapporto che a me sembra di cogliere il germe segreto delle leggi che governano il cosmo”. Evidentemente non allude, in questa dichiarazione di poetica, alle leggi fisiche, scientifiche, cui tendono gli esploratori dell’universo, ma alle nascoste corrispondenze tra terra e cielo, alle concordanze tra emergenze interiori ed emergenze esteriori, ”il germe segreto”, dice l’artista, cioè le verità non verificabili né dimostrabili, cui tendono con generosa perseveranza i poeti, i filosofi, i visionari, gli artisti .
Molte le opere che danno conto di questa attitudine esplorativa, opere nelle quali il fraseggio di pieni e di vuoti e i percorsi della luce che scorre da un piano all’altro, disegnando possibili trame di una immaginaria mappa celeste, rispondono ad un vitalistico sforzo di ri-definizione del mondo.
Come Boccioni in “Forme uniche nella continuità dello spazio” lega specularmene visione dinamica della realtà e dinamismo della forma, così De Angelis realizza una perfetta relazione tra rappresentazione del dramma dell’uomo abbandonato alla furia degli elementi nella luce piena del cosmo e forma convulsa, agitata da un sicuro, veloce segno dinamico, gestuale e avvolgente, a significare la condizione di un moderno “prigione”. 
Ragione e turbamento, controllo e abbandono , nella sua opera sono drammaticamente compresenti fino a dar luogo a conviventi antinomie: espressionismo e classicità, figurazione e astrazione, spirito dionisiaco e spirito apollineo.
C’è in De Angelis una pluralità di accadimenti sostanziali e soluzioni formali, anche nella stessa opera, come s’è detto, perché c’è coincidenza tra opera d’arte e verità. Non la verità assoluta, inconoscibile, ma la sua verità, che si accompagna anche al piacere della contraddizione.
Nel sofferto umanesimo dell’artista non ci sono certezze ontologiche ed esistenziali. Ad occupare il campo speculativo è l’assillo di una continua interrogazione sul destino dell’uomo a guisa del leopardiano pastore errante, che si rivolge alla silenziosa luna spettatrice del peregrinare umano. 
Da questa incessante istanza di senso discende il cammino errabondo dell’artista tra le forme esplorate, assorbite e restituite, poi, imbevute degli umori profondi della sua isola infuocata, della sua mediterranea energia, del nettare degli incontri poetici fortuiti, come dire voluti dal cielo.
Un dato fondamentale, naturalistico, della sua formazione artistica è certamente Ischia, terra vulcanica, scultorea, circondata da un mare cristallino, abitato da creature mitiche nei suoi fondali e sulla costa, dove giganteggiano, sotto forma di concrezioni laviche, figure fantastiche di una iperbolica flora e improbabile fauna: il fungo di Lacco Ameno e l’immenso elefante di Forio e innumerevoli altre icone fantastiche.
Queste sculture naturali, cui il vento e l’acqua hanno conferito una mirabile arcaica forza plastica, si sono impresse, passando per gli occhi stupiti, nel cuore e nella mente dell’adolescente Giovanni, precocemente deciso a diventare scultore.
Nel suo apprendistato questo retroterra di immagini di primordiale vigore non è secondario.
Quella forza è rintracciabile in tutte le sue opere, dove, a far la differenza tra le prime prove e le ultime è la maggiore consapevolezza del fare artistico, l’acquisizione di una robusta cultura visiva e di pensiero e l’affinamento tecnico e di sensibilità in aggiunta alla innata sicurezza del senso tattile e straordinaria percezione della costituzione della materia nelle sue svariate forme.
Il miracolo che noi tocchiamo con mano è proprio questo: nel suo operare artistico naturali inclinazioni e cultura convivono e si sorreggono vicendevolmente.
Ora che Giovanni De Angelis, dopo un ventennio di fruttuose peregrinazioni tra Berlino, Monaco, Dusseldorf, Bruxelles, Milano e Pesaro, è tornato a Ischia, maturo e ancor vigoroso, è già leggibile negli ultimi esiti un ulteriore scatto che salda in sintesi originale il verginale slancio giovanile e la compiuta riflessione estetica, dove la natura riappare prepotente, ma entro un argine formale che è prova di misura e di bellezza.
Giovanni Stella

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